venerdì 22 gennaio 2010

Francesco Fantoli, un amico - Alessandro Grandi

07/12/2009

Checco Fantoli per lungo tempo ha collaborato con PeaceReporter. Per me era anche un amico

Francesco Fantoli era come si dice in una redazione "il mio contatto su Haiti". In più Checco era un amico. Difficilmente mi dimenticherò di lui e dei bellissimi momenti passati insieme a Port au Prince, città che romanticamente chiamava "Porto Principe". Ma anche a Jacmel, nella zona sud del Paese dove aveva costruito una splendida casetta. L'aveva chiamata Villino Fantoli e ne andava orgoglioso. Anche grazie a lui ho imparato a amare molto Haiti. Mi faceva ridere quando mi rispondeva al telefono. "Uè il milanese" diceva prendendomi in giro. Lui era romano e nonostante i tanti anni trascorsi lontano dalla città eterna, l'accento non l'aveva perso. E giocava molto su questo fatto. La cosa più bella che ricordo è stato il primo incontro con Francesco. Io uscivo dall'aeroporto internazionale di Port au Prince e decine di taxisti abusivi in cerca di pochi spiccioli facevano a gara saltandomi addosso per trasportarmi ovunque io volessi. In lontananza vedevo un uomo, sigaretta accesa fra le dita, che sorrideva e si avvicinava a noi. Quattro urla ben assestate, un braccio intorno al mio collo per portarmi via dal gruppo di taxisti e una frase: "Ciao, Alessandro benvenuto a Haiti". Poi una risata a far da contorno al tutto. Per lui quella ressa che inevitabilmente mi aveva un po' intimorito, era solo una rappresentazione dell'essere pienamente haitiano. Me l'ha spiegato qualche giorno dopo in auto, mentre ci dirigevamo verso Jacmel.
Ricordo le raccomandazioni, puntualmente mai seguite (ripensandoci adesso in modo scellerato): "Non uscire la sera da solo. E se puoi nemmeno di giorno!" Io però dovevo uscire. Dovevo fare ciò per cui ero stato inviato a Haiti. Documentare la situazione drammatica dell'isola. Andare in giro per la città a osservare di tutto e se possibile di più. Checco molte volte mi ha accompagnato. Alcune volte ha fatto da mediatore per risolvere situazioni complesse. Mi ha aiutato vedere a Haiti e i mali che la affliggevano e la affliggono tuttora. E questo a lui non piaceva.
In una sola circostanza ce la siamo vista brutta. Una mattina intorno alle sette in auto ci siamo diretti verso la bidonville di Citè Soleil, uno degli angoli del mondo dimenticati da Dio. Siamo entrati in auto e dopo poche decine di metri una folla composta da uomini, donne e decine di ragazzi ha impedito alla nostra auto di proseguire. Volevano tutti farsi salutare dal "famoso telecronista televisivo". Questo non ha impedito a un gruppetto di ragazzotti armati di seguire tutta la scena, farci visitare la bidonville in tutta calma e senza rischi, farci fotografare ogni angolo di quel posto infernale, e poi senza timori venire a chiederci dei soldi come lasciapassare per farci uscire indisturbati dalla baraccopoli. Non hanno usato mezzi termini e senza problemi ci hanno fatto vedere delle grandi armi luccicanti e quali sarebbero potute essere le conseguenze se non avessimo pagato.  Siamo usciti da quella situazione lasciando nelle mani dei ragazzotti pochi dollari Usa. Soprattutto, però, siamo usciti grazie al carisma di Checco che ha iniziato a toccare tasti come il calcio e il rap e altre cose che piacciono ai ragazzi di tutto il mondo. Se fossimo rimasti fermi in auto ancora una decina di minuti probabilmente ci avrebbero lasciato andare gratis. Con belle parole gentili Checco li aveva ammorbiditi, interessati, forse anche imbarazzati. Checco non aveva paura di andare in giro per Haiti. O se l'aveva non lo faceva vedere.

Alessandro Grandi

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